Si è speso tanto in questi giorni sulla vicenda del tempio crematorio. Tra indignazione, sgomento e rabbia, su tutti i fronti, tutte le fazioni si sono coalizzate contro un abominio fino a poco tempo fa inimmaginabile.
I dettagli emersi giorno dopo giorno hanno delineato uno scenario che sembrava impossibile immaginare in tempi non sospetti, tra pratiche da film horror e pianificazione degna del peggior piano criminale.
Il dio denaro spesso porta a compiere atti indicibili ma qui si va ben oltre il mero guadagno, perché a un certo punto, nella mente di una persona, per quanto contorta, dovrebbero prevalere il raziocinio e la capacità di non superare quel confine tra immorale e indecente.
Non siamo in tempi di guerra, di fame, di sopravvivenza, di situazioni al limite, di persone che non hanno nulla da perdere e che quindi agiscono per un contorto stato di necessità, parliamo di sadica consapevolezza, la peggiore delle patologie.
Professionisti inseriti nella comunità, conosciuti, stimati, padri di famiglia, figli da vetrina e semplici uomini come tanti se ne incontrano sulla nostra strada, che dal nulla si sono rivelati mostri.
Forse ancor di più delle pratiche crematorie attuate ed emerse dalle prima indagini, è questo che lascia scioccati, quando il mostro non è quello stereotipato e facilmente riconoscibile, quello che la tv e i giornali ci hanno insegnato a riconoscere, ma il vicino di casa, l’amico, il collega, l’imprenditore, che fino al giorno prima salutavamo con orgoglio e ora ci fa venire il vomito solo a leggerne il nome.
Le famiglie unite nel dolore stanno cercando di razionalizzare, di far fronte comune sorreggendosi a vicenda, per capire chi hanno lasciato in quel forno e chi hanno invece riportato a casa, in quell’urna.
Dentro quei forni a Biella non si sono solo bruciati corpi, ma anche la speranza e la fiducia che l’intera città riponeva nelle persone e in una struttura nata per essere il simbolo di un trapasso sereno e che invece si è trasformata nel peggiore degli incubi.
LBCP